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al testo di Paolo Ottaviani
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Porto San Giorgio, Hotel Garden, 31 marzo 2012 Presentazione dei quaderni dell’Associazione Culturale “ PASSAGGI 2011 Direttore letterario Eugenio De Signoribus Direttore artistico Sandro Pazzi Poeti e Artisti Giorgio Luzzi - Mauro Cappelletti Enrico De Lea - Antonio Del Gatto Jacopo Masi - Rachele Biaggi Ilde Arcelli - David Giovannini Interventi Enrico Capodoglio - Critico letterario Bruno Ceci - Critico d’arte Marina Venieri – moderatrice Esposizione di alcune opere degli artisti PRESENTAZIONE DEL QUADERNO POSTUMO di ILDE ARCELLI BREVI PAROLE ANCORA di Paolo Ottaviani AI MIEI FIGLI Non morirò del tutto se in voi vivrà pietà per le piaghe roventi dei poveri scordati, se userete il freddo ambrato dell'ironia, se vi accompagnerà la forza dolorosa d'esser voi stessi contro emozioni astratte e cerebrali. Una parte di me, tra finzioni ardite droga di suoni e antidoti sbagliati, frugherà sorniona nel ciarpame del mondo con le vostre mani, libere e scomode, per isolare la pietra bella della verità. (2000) Ho voluto iniziare la presentazione di questo quaderno postumo di Ilde Arcelli - Brevi parole ancora - con la lettura della poesia che chiude la raccolta perché credo fermamente che le vibranti parole che in essa si leggono siano fortemente rappresentative di molte delle tematiche, dei problemi, degli interrogativi che assillavano l’animo della poetessa e delle risposte o dei tentativi di risposta, spesso assai originali, che lei stessa proponeva. Chi pratica la poesia, sia attraverso la sua lettura sia ricercandola nella scrittura, sa perfettamente che si può rimanere irretiti da quella “droga di suoni”, da quelle “finzioni ardite” e da quegli “antidoti sbagliati”, per usare le stesse graffianti metafore presenti nella lirica d’apertura, di cui la stessa poesia talvolta si nutre. Ma la ricerca poetica di Ilde Arcelli non si è mai fermata sulla bellezza, sull’ornamento della parola: ha voluto invece frugare - e uso ancora le sue parole - “sorniona nel ciarpame del modo”. Il prefatore della prima raccolta pubblicata da Ilde Arcelli nel lontano 1983 - quella raccolta andava sotto l’emblematico titolo di Perplessità - aveva già colto questa sua tensione morale che viene molto prima e che anzi fonda la ricerca estetica della parola bella e aveva parlato, a proposito di questa poetica, di “brividi che attraversano l’anima per il dolore del mondo”. E in questo quaderno postumo, quasi disegnando un arco ideale di coerenza con quel tanto di buono e di bello che può essere espresso dalla poesia, Ilde Arcelli ci ricorda che la lotta per arginare il male ha bisogno di mani “libere e scomode”. Per queste ragioni credo che la poesia dedicata ai propri figli, pur partendo da un nucleo di affetti intimo, privato, familiare, si trasformi invece in una sorta di testamento spirituale offerto a tutti. E, certo, la ricerca inesausta della “pietra bella della verità” resta l’eredità più preziosa di questo poetare. Ma prima di entrare brevemente dentro la casa poetica di Ilde Arcelli io desidero, credo anche a nome degli amici che mi hanno accompagnato in questo viaggio, ringraziare l’Associazione culturale “ UMBRIA E' bello ascoltare al mattino il tuo cuore - umido di verde nella bruma chiara della prima vita: e quando il tuo canto non è più il silenzio ti lascio. A sera ritorno - fedele a prenderti l'ultimo raggio. Parliamo - non senti? Son poche parole fanciulle - mi scavano dentro la gioia. E' scuro - non vedi? Riposa (1954) E dopo oltre un trentennio: All'ombra delle croci posano i merli, il becco giallo schiocca sulla larva intravista sull'erba poi se ne vanno col vento della sera che più densa rende l'attesa. Tenuti dalla terra, v'amò un tempo la vita, ma non si muta il corso delle umane cose né per noi s'apre il cielo alla domanda che certezze chiede. E voi tacete. Un silenzio di lumi e di cipressi fascia stasera la malinconia mentre l'anima impigliata al becco giallo va raminga tra gli uomini implorando: lei solo conosce la dolcezza terribile d'esser viva sulla sua terra muta. (1985) La “dolcezza terribile d’esser viva”. E’ l’anima della poetessa che sperimenta questa ambigua, ineffabile emozione. Ed è qui, credo, che si innesta l’altro tema che ritroviamo costante nella poesia di Ilde Arcelli, quello di una dubitativa, enigmatica trascendenza. Questo quaderno, seppur in modo estremamente sintetico, documenta tuttavia un percorso intellettuale di ben cinque decenni, quelli della seconda metà del Novecento. In questo arco di tempo anche il rapporto della poetessa con il trascendente e con l’assoluto si trasforma radicalmente passando dall’anelito a un “fuoco finale” di purificazione, alla “certezza d’un Dio” fino all’interrogazione sul “nulla del pensiero”. E voglio ricordare come Luciano Erba aveva sottolineato nella sua nota introduttiva all’ultima raccolta dell’Arcelli come il suo poetare si muovesse costantemente “nei territori di caccia dell’assoluto”, una ricerca che certo ha raggiunto un equilibrio artistico molto alto: lo aveva già testimoniato quell’esclamazione di Mario Luzi in una sua lettera all’Arcelli: “Ma che animazione, che levità e intensità di movimenti all’interno, che bella e toccante, vibrante oscillazione tra pensiero pensato e pensiero vissuto…”. E lo provano ancora le tre poesie che seguono: PURIFICAZIONE Esuli andiamo vestiti di giada per tacite strade col cuore ferito dai mille perché: c'è un'eterna ricerca che guida, un'infinita pace che chiama, uno scarno fiato che porta come paglia lieve al fuoco finale della purificazione. Di noi lì rimarrà soltanto la viltà o il coraggio. (1984) IL GUERRIERO Il muro del futuro per me cela un guerriero che non teme d'andare: in ostaggio porta la certezza d'un Dio che dall'eterno ama ogni suo ciottolo perduto nel vuoto inconoscibile. Verrà l'istante di varcare il muro e finalmente sarà per lui il primo giorno vero, puro di libertà sempre cercata. Conquisterà il suo nido caldo di silenzi fatto e vergine d'impronta. (1985) POETI Forzare il mistero delle fuggenti cose fermi come fiamma fioca in notte senza vento, certi della paziente cera e farsi impercettibile faro di ricerca per dare occhi all'uomo d'ogni tempo: è questo forse presumere di sé? Brevi parole ancora e poi un silenzio siderale violenterà beffardo queste quiete voci vaganti nel buio dell'eterno, da sempre destinate a rinascere dalle ceneri loro. Oppure è preferibile il nulla del pensiero succhiato delle fredde stelle del duemila? Ora alti sui deserti stiamo tra fulgori e dirupi solitari, aquile erranti dal destino segnato. (1985) Un’ultima notazione, e non certo per ordine di importanza. Impreziosisce questo quaderno la splendida opera d’arte “Per le antiche strade” di David Giovannini, di cui ha già finemente parlato il critico d’arte Bruno Ceci. Io posso solo aggiungere che Ilde Arcelli amava quei vicoli bui e quelle antiche atmosfere. Si realizza così, un po’ inconsapevole, un po’ voluto dal destino, un felice connubio tra arti diverse ma in qualche modo sorelle. Città vecchia può essere anche letta come l’omaggio poetico di Ilde Arcelli all’arte grafica di David Giovannini: CITTA' VECCHIA Suono di organetto vestito a festa - in un vicolo breve: la voce più lieta della miseria. Lampade scarse e panni bagnati aspettano il sole - ho sentito l'odore del muschio e l'ombra e l'anonima voce e il riso dell'amore mercenario: un uscio s’è aperto - opaco occhio su pietre di pianto. (1963) |
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